Dolo colpito a mezza via da errore e dolo alternativo

L’applicabilità alla fattispecie della configurazione del dolo colpito a mezza via dall’errore esigerebbe la cesura, determinante sotto il profilo logico-giuridico, della fase della condotta finalizzata ad uccidere caratterizzata dalla mancata produzione dell’evento e della fase della condotta finalizzata alla soppressione del corpo, reputato erroneamente senza vita, invece risultata, ex post, causa diretta della morte, così che concorrerebbero il reato di tentato omicidio, esitato dalla condotta dolosa connotante la prima fase, e quello di omicidio colposo, determinato dalla condotta soltanto negligente propria della seconda fase.

Non può dubitarsi che – qualora l’agente, non essendo certo di averne già cagionato la morte dopo la prima, violenta fase aggressiva, pur quando essa sia segnata da una qualche autonomia rispetto a quella successiva, realizzi anche il secondo segmento della condotta con la deliberata intenzione di uccidere la vittima – è effettivamente ravvisabile il dolo diretto nella forma del dolo alternativo, perchè la condotta successiva, pur quando ispirata allo scopo di distruggere e occultare il corpo e cancellare le tracce della condotta precedente, è mirata comunque a cagionare anche la morte della vittima, ove tale evento non si sia già verificato: in questa ipotesi, la commissione dell’azione definitivamente causativa dell’evento letale non è psicologicamente sorretta dall’erronea supposizione e dalla certezza soggettiva di avere già con la prima attività consumato il delitto voluto.

Forma, d’altronde, oggetto di sedimentato principio giuridico l’affermazione secondo cui, in tema di omicidio, si qualifica come diretta, e non eventuale, la particolare manifestazione di volontà integrata dal dolo alternativo, che sussiste allorquando l’agente, al momento della realizzazione dell’elemento oggettivo del reato, si rappresenta e vuole indifferentemente e alternativamente che si verifichi l’uno o l’altro degli eventi causalmente ricollegabili alla sua condotta cosciente e volontaria, per cui – in ragione della sostanziale equivalenza di entrambi gli eventi – egli deve rispondere per quello effettivamente realizzato.

 

Cassazione penale, sezione prima, sentenza del  23.05.2019, n. 22807

 

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