Patto marciano valido per analogia con il pegno irregolare

La liceità del patto commissorio cui accede un patto marciano sta nell’analogia con il pegno irregolare (art. 1851 c.c.) il quale consente al creditore che abbia ricevuto in pegno cose fungibili di appropriarsene all’inadempimento del debitore restituendo però a quest’ultimo l’eccedenza di valore (tra le cose date in pegno e l’ammontare del debito). Il patto marciano, che come è noto non è figura tipica, persegue esattamente lo stesso scopo rispetto a beni non dati in pegno ma alienati in garanzia; ossia consente al creditore di appropriarsene restituendo al debitore la differenza di valore. Nè può obiettarsi che l’art. 1851 c.c. è norma eccezionale, come tale insuscettibile di applicazione analogica in quanto non è affatto eccezione rispetto al principio generale dell’art. 2744 c.c., ma rispettoso della medesima ratio, anzi conseguenza di quel principio in quanto mira anche esso ad evitare approfittamenti del creditore ai danni del debitore.

Cassazione civile, sezione terza, sentenza del 17.1.2020, n. 844

…omissis….

zzzz ha acquistato la proprietà di un immobile da zzzzzzz con contestuale contratto di comodato a favore di quest’ultimo al fine di consentirgli di abitare con la moglie nell’immobile appena alienato. La vendita è stata accompagnata da alcune previsioni specifiche. Intanto le parti hanno previsto che il zzzzzz, ossia l’alienante, si impegnava oltre che a pagare il residuo mutuo, il cui pagamento era garantito da fideiussione dell’acquirente, altresì a pagare un debito che aveva contratto con il figlio di quest’ultima. Era previsto che in caso di avvenuto pagamento del debito l’acquirente aveva l’obbligo di ritrasferire il bene; viceversa in caso di debito non adempiuto l’acquirente aveva diritto a vendere il bene, e previa stima del valore, a corrispondere al venditore la differenza tra il valore dell’immobile ed il debito rimasto ancora da pagare. Poichè l’alienante è rimasto inadempiente, l’acquirente ha messo, come d’accordo, l’immobile in vendita, e ne ha richiesto la restituzione. Ha dunque agito in giudizio per ottenere il rilascio dell’immobile, che, a titolo di comodato, l’alienante e la sua famiglia continuavano a detenere. Il Tribunale, in primo grado, ha rigettato la domanda ritenendo simulata l’intera operazione negoziale, sia per difetto di prova del pagamento del prezzo, sia perchè il godimento era rimasto all’alienante. La Corte d’Appello ha smentito la tesi della simulazione ed ha rilevato la nullità del contratto di comodato, per difetto di trascrizione. Avverso tale sentenza Szzzzzz. propongono sei motivi di ricorso. V’è costituzione zzzz con controricorso.
Motivi della decisione
1.- La ratio della sentenza impugnata è la seguente. Le parti hanno concluso una vendita con funzione di garanzia. Quelli che dal giudice di primo grado erano ritenuti elementi indiziari della simulazione (ossia difetto di corrispettivo, detenzione rimasta all’alienante, ecc.) sono invece dalla decisione di secondo grado intesi come indizi della funzione di garanzia dell’alienazione, alla quale accede il comodato. Si tratta dunque di una operazione effettiva e non simulata, solo che il comodato difetta di trascrizione ed è nullo ai sensi della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 346 (finanziaria del 2005). Va precisato che la domanda iniziale dell’attrice era semplicemente di restituzione del bene concesso in comodato. 2.- Il ricorso dei coniugi, alienanti e comodatari, si articola su sei motivi, il primo dei quali è però esclusivamente riferito alla moglie dell’alienante, ossia zzzzz mentre gli altri cinque riguardano l’interpretazione e la qualificazione dell’operazione negoziale posta in essere. 2.1.- I motivi quarto e quinto possono esaminarsi congiuntamente e riguardano la corretta interpretazione e qualificazione del contratto. Essi sono fondati, con conseguente assorbimento degli altri. Con tali motivi si denuncia erronea interpretazione delle norme sul patto marciano, e sulla validità di esso in caso in cui accede ad un patto commissorio, e dunque degli artt. 2744, 1418 e 1344 c.c.. Per meglio intendere questi motivi, occorre ricostruire la vicenda contrattuale, ed il modo in cui l’ha interpretata la corte di merito. In concreto, le parti hanno concluso due atti. In un primo momento hanno stipulato un atto pubblico, davanti al notaio, qualificato come di vendita, ed ivi hanno dato atto del pagamento da parte della Ma. del corrispettivo, mediante tre assegni da venti mila Euro e mediante accollo della restante parte del mutuo. Con una successiva scrittura privata, le parti hanno precisato che l’alienazione che hanno concluso dal notaio è in realtà fatta a soli fini di garanzia, ossia quale assicurazione da parte del S. di pagamento del suo debito verso il figlio della Ma. (acquirente). Secondo i ricorrenti si tratterebbe di una controdichiarazione che dimostra la simulazione della vendita, ed erroneamente sarebbe qualificata dalla corte di appello come una scrittura integrativa dell’alienazione in garanzia. In realtà l’interpretazione fatta dal giudice di merito è immune da vizi. La controdichiarazione si interpreta al pari di ogni altro patto privato, e la corte ha valorizzato le espressioni usate dalle parti, ossia la dichiarazione di voler attribuire alla precedente vendita uno scopo di garanzia e non di scambio. Del resto, la controdichiarazione è tale quando espressamente asserisce la natura simulata della dichiarazione principale, mentre qui tale natura non è affatto affermata dalle parti che non dichiarano di aver simulato la vendita davanti al notaio, bensì dichiarano di averla voluta effettivamente ma a scopo di garanzia e non di scambio. La controdichiarazione dunque non è di simulazione, ma di qualificazione dello scopo concreto dell’atto. Va evidenziato peraltro come spesso si fraintende il rapporto tra vendita simulata e vendita fatta a scopo di garanzia. La stessa prassi a volte utilizza indici presuntivi della simulazione (il possesso rimasto in capo all’alienante, la preesistenza di un debito dell’alienante a favore dell’acquirente, la mancata trascrizione), che in realtà sono indici dello scopo di garanzia. Va considerato che quest’ultimo mira ad una proprietà momentanea in capo al creditore, e questa era in passato la ragione di autorevoli dubbi sulla circostanza che la causa di garanzia potesse essere sufficiente a sorreggere il trasferimento del diritto. Giova brevemente ripercorrere la questione. Secondo quest’ultima, ricostruzione lo scopo di garanzia mira a creare una proprietà temporanea in capo all’acquirente che, in caso di adempimento del debito, è obbligato alla restituzione, e questa proprietà temporanea nient’altro sarebbe che una proprietà fiduciaria, ossia una fiducia cum creditore, non ammessa nel nostro ordinamento. E’ noto che la replica migliore a questo argomento è stata di far presente che altro è la regola della tipicità dei diritti, altro quella degli atti traslativi, e che le parti possono ben trasferire un diritto tipico e nominato (la proprietà) anche con atti atipici, come, per l’appunto, una vendita fatta a scopo di garanzia. Inoltre, la causa atipica di alienazione in garanzia non influisce sul contenuto del diritto di proprietà, nel senso di renderlo diverso da quello tipico, e ciò in quanto l’acquirente in garanzia ha tutte le facoltà di dominio proprie del proprietario, potendo disporre e godere della cosa al pari di quello; inoltre la proprietà che si realizza in capo all’acquirente non è temporanea in senso tecnico, ma è una situazione assimilabile all’acquisto sotto condizione o sotto patto di riscatto, ossia destinata a risolversi, ma nata come definitiva. Infine, gli obblighi che gravano sull’acquirente (di retrocedere il bene in caso di adempimento) non attengono alla vendita, ma derivano da un patto aggiunto che qualifica quella vendita come fatta in garanzia; ed è il nostro caso, in cui le parti hanno previsto una controdichiarazione in tal senso, il che opera ad ulteriore dimostrazione della effettività dello scopo di garanzia. Correttamente qualificata come vendita a scopo di garanzia, la corte avrebbe dovuto però tenere in considerazione la sua compatibilità con il divieto del patto commissiorio, alla luce del fatto che le parti avevano cercato di evitare il contrasto con l’art. 2744 c.c. inserendo nello schema negoziale un patto marciano. Secondo i ricorrenti il patto marciano rende valida la stipulazione commissoria solo se è preventivamente convenuto un metodo imparziale di stima del bene, evitando che quest’ultima sia affidata alla discrezionalità del creditore che potrebbe dunque approfittarne. A conferma di questa tesi si cita il precedente di Cass. 1624/2015. La tesi, come si è detto è fondata, ma la questione esige un chiarimento. Intanto, va chiarito perchè mai se ad un patto commissorio (il creditore trattiene la cosa data in garanzia all’inadempimento del debitore) accede un patto marciano (il creditore vende la cosa, previa stima, e restituisce l’eccedenza al debitore) la pattuizione non ricade nel divieto dell’art. 2744 c.c.. Tradizionalmente si argomenta dalla ratio della norma suddetta. Siccome l’opinione prevalente ritiene che la ratio del divieto del patto commissorio stia nella tutela del debitore da approfittamenti del creditore, allora nel caso di patto marciano il rischio di tali approfittamenti è nullo; ed infatti coloro che attribuiscono al divieto del patto commissorio una ratio diversa, ad esempio la tutela della par condicio creditorum, ritengono nulla la pattuizione pure in presenza di un patto marciano tra creditore e debitore. In realtà la liceità del patto commissorio cui accede un patto marciano sta nell’analogia con il pegno irregolare (art. 1851 c.c.) il quale consente al creditore che abbia ricevuto in pegno cose fungibili di appropriarsene all’inadempimento del debitore restituendo però a quest’ultimo l’eccedenza di valore (tra le cose date in pegno e l’ammontare del debito). Il patto marciano, che come è noto non è figura tipica, persegue esattamente lo stesso scopo rispetto a beni non dati in pegno ma alienati in garanzia; ossia consente al creditore di appropriarsene restituendo al debitore la differenza di valore. Nè può obiettarsi che l’art. 1851 c.c. è norma eccezionale, come tale insuscettibile di applicazione analogica in quanto non è affatto eccezione rispetto al principio generale dell’art. 2744 c.c., ma rispettoso della medesima ratio, anzi conseguenza di quel principio in quanto mira anche esso ad evitare approfittamenti del creditore ai danni del debitore. Tuttavia, proprio in quanto il patto marciano può consentire di evitare approfittamenti del creditore ai danni del debitore, è necessario che le parti abbiano previsto criteri di stima del bene al momento della convenzione marciana. Come ricordato da questa corte, è necessario che le parti abbino previsto “meccanismi oggettivi e procedimentalizzati …omissis…. la verifica di congruenza tra valore del bene oggetto della garanzia, che viene definitivamente acquisito al creditore, ed entità del credito; per la stessa ragione, non avrebbe tale effetto la verifica del “giusto prezzo” al momento della conclusione del contratto” (Cass. 1625/2015). Più precisamente occorre che la stipulazione ” preveda, per il caso ed al momento dell’inadempimento ossia quando si attuerà coattivamente la pretesa creditoria (cfr. art. 1851 c.c.), un procedimento volto alla stima del bene, entro tempi certi e con modalità definite, che assicurino la presenza di una valutazione imparziale, in quanto ancorata a parametri oggettivi automatici, oppure affidata a persona indipendente ed esperta la quale a detti parametri farà riferimento (cfr. art. 1349 c.c.), al fine della corretta determinazione dell’an e del quantum della eventuale differenza da corrispondere all’utilizzatore. La pratica degli affari potrà poi prevedere diverse modalità concrete di stima, purchè siano rispettati detti requisiti. L’essenziale è che risulti, dalla struttura del patto, che le parti abbiano in anticipo previsto che, nella sostanza dell’operazione economica, il debitore perderà eventualmente la proprietà del suo bene per un prezzo giusto, determinato al tempo dell’inadempimento, perchè il surplus gli sarà senz’altro restituito” (Cass. N. 1625/2015). Nella fattispecie queste condizioni non risultano rispettate, mancando del tutto la previsione di criteri di stima oggettivi che assicurino la valutazione imparziale del valore del bene per il successivo momento della eventuale vendita. Nè può considerarsi tale l’indicazione della persona del marito della creditrice, indicato come tale da farsi garante del rispetto dell’accordo, indicazione che ovviamente è talmente generica da non soddisfare le condizioni di obiettività della stima che si sono prima specificate. L’accoglimento del quarto e quinto motivo comporta assorbimento degli altri. Il ricorso va dunque accolto nei predetti termini, e la sentenza cassata con rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie quarto e quinto motivo, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2020

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