Sanzioni punitive nell’illecito antitrust e standard probatorio

Il principio della presunzione d’innocenza, sancito dall’articolo 48, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, si applica alle procedure che possono concludersi con pesanti sanzioni afflittive.

La presunzione di innocenza risulta, del resto, anche dall’articolo 6, paragrafo 2, della CEDU che, come noto, costituiscono principi generali del diritto dell’Unione. La natura “penale” in senso convenzionale delle sanzioni irrogate dall’Autorità antitrust è indubbia, tenuto conto delle finalità repressive e preventive perseguite e del fatto che l’accertamento di antitrust infringement determina, oltre all’irrogazione di pesanti sanzioni amministrative pecuniarie e alla condanna al risarcimento del danno eventualmente cagionato, anche un significativo danno reputazionale.

In coerenza con l’anzidetto quadro ‘costituzionale’ (del Trattato e della CEDU), l’art. 2 del Regolamento n. 1 del 2003 precisa che, in tutti i procedimenti nazionali o comunitari relativi all’applicazione all’art. 101 del TFUE, l’onere della prova dell’infrazione incombe alla parte o all’autorità che asserisce tale infrazione. Spetta dunque all’Autorità fornire la prova delle infrazioni che essa constata e produrre gli elementi idonei a dimostrare l’esistenza degli elementi costituitivi che integrano l’infrazione, ivi compresa la sua durata.

La presunzione comporta che qualora sussista un dubbio nella mente del giudice, esso deve andare a beneficio dell’impresa destinataria della decisione che constata un’infrazione.

 

Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza del 30.03.2023, n. 3312

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