Interpretazione conforme a direttive UE: sì va bene, ma senza arrivare ad un’interpretazione contra legem del diritto nazionale (IL ≥ IR).

Un giudice nazionale, cui venga sottoposta una controversia intercorrente esclusivamente tra privati, deve, quando applica le norme del diritto interno adottate ai fini della trasposizione degli obblighi previsti da una direttiva, prendere in considerazione l’insieme delle norme del diritto nazionale ed interpretarle, per quanto possibile, alla luce del testo e della finalità di tale direttiva per giungere a una soluzione conforme all’obiettivo perseguito da quest’ultima.

Tuttavia, il principio d’interpretazione conforme del diritto nazionale incontra determinati limiti. Infatti, l’obbligo per il giudice nazionale di fare riferimento al contenuto di una direttiva nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme pertinenti del proprio diritto interno trova un limite nei principi generali del diritto e non può servire da fondamento per un’interpretazione contra legem del diritto nazionale.

Ove non possa procedere a un’interpretazione della normativa nazionale conforme alle prescrizioni del diritto dell’Unione, il principio del primato del diritto dell’Unione impone che il giudice nazionale incaricato di applicare, nell’ambito della sua competenza, le disposizioni di detto diritto garantisca la piena efficacia delle medesime, disapplicando all’occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale.

Ciò premesso, occorre inoltre tener conto delle altre caratteristiche essenziali del diritto dell’Unione e, in particolare, della natura e degli effetti giuridici delle direttive.

In tal senso, una direttiva non può, di per sé, creare obblighi nei confronti di un singolo e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei confronti di quest’ultimo dinanzi ad un giudice nazionale. Infatti, ai sensi dell’articolo 288, terzo comma, TFUE, il carattere vincolante di una direttiva, su cui si fonda la possibilità di invocarla, sussiste solo nei confronti dello “Stato membro cui è rivolta”, in quanto l’Unione ha il potere di sancire, in modo generale e astratto, con effetto immediato, obblighi a carico dei cittadini solo ove le sia attribuito il potere di adottare regolamenti. Pertanto, anche se chiara, precisa e incondizionata, una disposizione di una direttiva non consente al giudice nazionale di disapplicare una disposizione del suo diritto interno ad essa contraria se, in tal modo, venisse imposto un obbligo aggiuntivo a un soggetto di diritto.

Corte giustizia Unione Europea, sezione seconda, sentenza del 17.03.2022, n. 232/20

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